lunedì 13 maggio 2013

ANNIVERSARI. LA MORTE DI ALDO MORO NEL 1978. WALTER VELTRONI, Gallinari mi disse: non ero un burattino, L'UNITA', 15 gennaio 2013

Gli ho chiesto: «È vero quello che ha detto la Faranda, che lei ha pianto quando ha parlato l’ultima volta con Aldo Moro?» Lui mi ha risposto: «Non entro in quella cosa. Ma chi faceva la lotta armata era un uomo, non una bestia assatanata di sangue. E di fronte alla fine della vita di un uomo ciascuno prova il suo dolore». Gli ho chiesto: la Faranda ha detto che ad eseguire l’assassinio di Aldo Moro non è stato lei ma Moretti e Maccari. E vero?

Leggi gli articoli dall'archivio storico de l'Unità (in Pdf):
Gallinari: "L'uccisione di Moro fu atto politico"
Liberatelo, è malato (27 febbraio 1994)
Un killer che non vuole parlare (18 aprile 1980)
Preso Gallinari, capo Br (25 settembre 1979)


Mi ha detto: «Le rivelazioni della Faranda, siano vere o no, sono la conferma della nostra posizione. lo non ho mai detto che gli uomini delle Br impegnati nella operazione di Moro erano 5, 10 o mille. L’unica cosa che ho detto, sempre, è che erano brigatisti, solo brigatisti. Chi ha sparato non conta, dal punto di vista politico». Gli occhi fondi che mi guardano sono gli stessi che hanno impresso nella retina le immagini, le uniche reali, dei cinquantacinque giorni più terribili della storia italiana del dopoguerra. Quest’uomo dimesso che mi sta davanti, in un grande stanzone del braccio G8 del carcere di Rebibbia ha partecipato al rapimento in Via Fani, alla detenzione, al processo, alla sentenza che ha posto fine alla vita del presidente della Dc. Lui sa la verità. l’ha vista con quegli occhi, Prospero Gallinari. Ma per lui non ce ne è un’altra da quella fin qui emersa. Non c’è niente da cercare ancora. Tutto è già stato scritto, tutto definito, dal punto di vista politico. Il resto, sono dettagli. (...) «Ho visto rosso e nero, mi è rimasta dentro una grande rabbia e una grande amarezza. Vedo la Di Rosa. Lei parla di fatti reali, il rapporto tra Stato e servizi segreti. Noi siamo nati, abbiamo combattuto per venti anni contro queste cose. E invece vedo che si cerca di dimostrare che noi eravamo un colabrodo di infiltrati, che il gioco era sporco. Un esperto ha persino citato il fatto che Moretti era andato a Catania come prova che qualcosa non andava». E Gallinari aggiunge. «Se noi eravamo al servizio dello Stato avevamo fatto un bel capolavoro. Siamo stati oggetto della più dura repressione subita da un movimento politico dal dopoguerra ad oggi. Cinquemila militanti delle Br nei carceri speciali. Ergastoli a grappoli. La verità storico politica è una sola, quella dei fatti (...)».

DEPISTAGGI E «PUPARI»

Ma l’Italia è cambiata dopo i cinquantacinque giorni. Ed è cominciato, con via Fani e Via Caetani, un lungo inverno, nel quale si è costruito il mostruoso edifìcio che ora è stato sventrato dalla caduta dei muri e dalla questione morale. Come potete escludere che qualcuno abbia giocato la sua partita in quel passaggio drammatico? Come potete chiudere gli occhi di fronte al lago della Duchessa, un depistaggio coi fiocchi? E vi siete chiesti perché, a cosa serviva? E via Gradoli, scoperta con una seduta spiritica? E gli uomini della P2 che non cercavano e non trovavano? Credete davvero che tutti, in Italia o all’estero, fossero entusiasti dell’idea che il Pci di Berlinguer andasse al governo? «(...)Per noi il compromesso storico era un disegno di normalizzazione, era l’imbrigliamento delle masse, era il tentativo di narcotizzare la conflittualità sociale. Allora c’era una grande domanda di cambiamento, c’era nelle fabbriche, tra i lavoratori. Voi avete sempre pensato che le Brigate rosse fossero solo una organizzazione terroristica. E invece no. Penso alle fabbriche del mio Nord. Il cinquanta per cento degli operai sapeva chi erano i loro colleghi che appartenevano alle Br. Ma non li denunciavano». Mentre sento queste parole mi viene in mente Guido Rossa, che aveva denunciato. Gallinari continua: «Noi consideravamo intrinseco al sistema capitalistico la reazione di Stato, avevamo visto le stragi, non conoscevamo Gladio ma ne conoscevamo l’esistenza. Forse anche il Pci sapeva che la tensione tra la domanda sociale e il potere ad un certo punto si sarebbe fatta insopportabile. Noi scegliamo la strada di continuare a combattere con la lotta armata. Berlinguer sceglie, non per caso partendo dai fatti del Cile, la prospettiva dell’intesa con la Dc». Ciò che non accetta, Gallinari, è pensare che qualcuno li possa avere utilizzati. Porta la biografia sua e degli altri a sostegno, vite cresciute nella sinistra storica e non. Ma questo ancora non basta. In questi anni, in Italia, abbiamo appreso sulla pelle che non si è mai dietrologi abbastanza. (...) Gallinari si scalda. «Nessuno mi ha coperto, se no non sarei qui. Siamo stati usati? lo so che nessuno mi ha costretto a fare quello che ho fatto, nessuno mi ha condizionato. Certo, sono uno sconfitto, sono qui. Ho perso la mia partita. Ma è stata la mia partita, la partita delle Br».

(...) Non sono venuto qui per convincere nessuno ad aderire alla sinistra democratica. Voglio ascoltare la loro verità, capire le ragioni che li hanno portati fin qui. Niente di più, niente di meno. Loro sostengono che l’unico che ha capito è Francesco Cossiga. Lo dicono come a indicare il paradosso, ma neanche tanto. «È assurdo che quelli da cui ci dobbiamo attendere il riconoscimento storici della verità di quegli anni siano quelli con cui ci siamo sparati addosso. Cossiga ha detto che la Brigate rosse erano solo loro stesse, che il sistema allora fu costretto a far passare per pazzo Moro. Cossiga ha detto delle verità storiche coraggiose. Il Pds no. Ha lasciato da parte la cultura del conflitto. Proprio come il Pci. Ha pensato che Berlinguer e Moro fossero le fiaccole del mondo nuovo, come Kennedy e Giovanni XXIII. Balle».

GLI SCRITTI DI MORO

Gli chiedo perché, secondo loro, gli scritti di Moro furono improvvisamente ritrovati a via Montenevoso. Mi rispondono che loro per primi hanno dichiarato che delle carte erano sparite, quando furono scoperti dei covi. E che tutto quello che era a loro disposizione è stato reso noto. Sono stati distrutti gli originali, le registrazioni, i nastri. E non esistono videocassette di nessun genere. In quegli interrogatori Moro parlava della Dc e della struttura che ora sappiamo essere la Gladio. Dice Gallinari: «Noi chiedevamo di fare i nomi, ma Moro non li faceva. E le cose che diceva per noi erano abbastanza ovvie. Le Brigate rosse nascevano dalla consapevolezza che esisteva una specie di Super stato, capace di stragi. lo sono di Reggio Emilia, la notte in quegli anni chi dirigeva il Pci dormiva fuori casa per paura del golpe. Io andavo a vedere le luci delle caserme. Ed io, aggiunge quasi divertito Pancelli, difendevo addirittura le sedi del Psi». Gli chiedo di Moro, della sua detenzione, dei ricordi personali che Gallinari ha della tragedia di quell’uomo solo. «Non entro nel dramma umano. È stato informato di tutto, passaggio per passaggio. Capì che non c’era nulla più da fare, che non c’era prospettiva né possibilità per una trattativa dopo il messaggio del Papa. Bisogna rileggere oggi i suoi scritti, si possono capire meglio. La partita che si giocò era a tre: le Br, Moro e il fronte della fermezza. Moro era una persona di massimo rispetto. Conosceva la classe politica italiana. Chi legge i suoi scritti capisce il suo dramma politico ed umano. Scriveva lettere per mettere in moto le trattative e riceveva risposte negative. Sapeva di avere molti nemici, ma pensava di avere molti amici. Sbagliava».

LE ULTIME ORE

Gli chiedo se Moro capì subito cosa ali stesse accadendo. Mi risponde: «Sì, gli dicemmo: siamo le Brigate rosse». Per Gallinari non conta, politicamente, chi abbia materialmente premuto il grilletto. «Moro è stato ucciso dalle Br, questa è l’unica cosa che conta. Quando noi venivamo arrestati dicevamo di essere prigionieri politici e rivendicavamo tutto quello che l’organizzazione aveva fatto. Le Br sono state una organizzazione collettiva, le responsabilità erano comuni». Io capisco, anche se disapprovo, la vostra scelta di non raccontare ciò che può chiamare in causa altri. Ma io credo che Gallinari abbia una sorta di dovere morale. Dire che cosa sono stati per Aldo Moro, per la persona di Aldo Moro, i giorni della sua detenzione nel carcere delle Br. (...) «Sarebbe svilire la natura politica della nostra scelta. Di quella scelta che ti ha portato ad uccidere e a rischiare di essere ucciso (...)». Insisto, voi dovete almeno la verità umana che avete strappato alla famiglia Moro. Gallinari mi guarda: «Ci sono stati molti morti in questa storia. Ma io non ho sparato a quella famiglia, ho sparato contro quello che Moro rappresentava. Non ha senso raccontare nulla, sarebbe una specie di penitenza» (...).

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