venerdì 15 novembre 2013

SINISTRA ITALIANA ALLO SFASCIO. P. VIDETTA, A me non viene (comunque) da ridere, L'ESPRESSO, 15 novembre 2013

Non è facile per me scrivere questo pezzo. Lo faccio con tristezza, rammarico, dispiacere.  Ho sostenuto Vendola per più di due anni, ho fatto parte di Sel sin dal suo primo Congresso Nazionale a Firenze. In questo partito, che per me è stato una seconda casa e che ho lasciato a fine Dicembre 2012, ho conosciuto persone splendide, straordinarie, con cui tuttora intrattengo rapporti fraterni. Ho creduto nella cosiddetta «primavera Pugliese», nell’idea di cambiamento, di partecipazione e di alternativa che vide Nichi Vendola – solo contro tutti (come recitava il suo slogan) – protagonista di un miracolo politico: la vittoria – per due volte – nelle primarie del centrosinistra e nelle successive regionali, con la conseguente sconfitta di un ceto politico ancorato alle proprie rendite di posizione e sordo rispetto alle istanze popolari.



Le mie speranze – per un motivo o per un altro – sono state tuttavia disattese. Ma non voglio parlare di questo, del passato. Non voglio riaprire diatribe su quale rapporto si sarebbe dovuto tenere con il Pd o con il PSE a livello europeo. Quello di cui voglio scrivere riguarda la vicenda scoppiata in seguito all’intercettazione telefonica pubblicata oggi dal Fatto Quotidiano, successivamente querelato da Vendola per via del titolo – francamente inaccettabile e fuorviante – che lasciava intendere che il presidente di Sel ridesse dei morti di tumore.
Posto che condivido le riflessioni di Alessandro Gilioli, non spetta a me stabilire se «Nichi» sia innocente o colpevole sul piano giudiziario. Men che meno posso farlo con una singola intercettazione a mia disposizione. Sarà la Magistratura a fare il suo corso e il suo dovere. Lo stesso dovere, però, che si stava limitando a portare avanti quel giornalista di cui effettivamente Vendola rideva. Quel giornalista che lui ha etichettato come «faccia da provocatore». Quel giornalista – di nome Luigi Abbate – che altro non ha fatto che rivolgere a Riva due osservazioni: «È stata descritta una realtà paradisiaca, ma non sembra proprio così visti i tanti morti di tumore che ci sono a Taranto…»; alla risposta del proprietario dell’Ilva, si è limitato quindi a domandare: «Allora sono false le voci di morti per tumore?».
Et voilà, ecco arrivare Archinà – oggi agli arresti domiciliari – che, in una frazione di secondo, strappa dalle mani di Abbate il microfono. E la cosa fa morire Vendola dalle risate: «Non potevo riprendermi, abbiamo visto una scena fantastica… ahahahahahah… [...] È stupendo… è uno scatto fantastico… Complimenti. Io e il mio capo di gabinetto siamo stati un quarto d’ora a ridere… perché è stata una scena fant…ahahahah».
Resta un mistero il motivo di tanta ilarità. Per questo trovo francamente assurda la difesa dei vendoliani: «Non rideva dei malati di tumore, ma del gesto verso il giornalista…». Ma cosa c’è da ridere? Cos’è che vi fa sganasciare nella scena di un giornalista a cui viene impedito – in violazione dei principi costituzionali – di compiere il proprio mestiere e di rivolgere delle domande? Cosa c’è di divertente nello sguardo – degno di una delle pellicole de Il Padrino – di Archinà verso il giornalista?
Spiegatemelo, se possibile. Perché a me, in questo momento, viene tutto meno che da ridere.

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