domenica 17 novembre 2013

SINISTRA ITALIANA SUBALTERNA. A. CREPALDI, Caso Vendola, la sinistra e la subalternità psicologica ai poteri forti, IL FATTO, 16 novembre 2013

Nella conversazione telefonica tra il portavoce dell’Ilva e Nichi Vendola ed in particolare nei toni così genuflessi, confidenziali, nonché nelle parole così stucchevolmente rassicuranti del leader di Sel, io ho ritrovato uno dei grandi mali della sinistra: la sua subalternità psicologica, oltreché culturale, ai cosiddetti poteri forti.



Una subalternità derivante dal fatto che la sinistra, quella post-ideologica, non è ancora stata in grado di chiarire su quali basi vada impostata la relazione tra il capitalismo, per lo più straccione, di questo paese, e la politica. Preferendo, ad una spremitura collettiva di meningi capace di produrre idee forti su economia e finanza, la tessitura di un rapporto di convenienza reciproca, complicità, furbizie. Fondato pure su posti da assegnare, poltrone da occupare, gare da assegnare, privatizzazioni da pilotare, leggi ad hoc da far approvare. E, appunto, su telefonate del tenore di quella tra Vendola e il portavoce dell’Ilva.
Il tutto, però, condito dentro un misto di attrazione fatale e fascino irresistibile che la sinistra “moderna” prova sempre più verso il capitale e chi lo detiene. E così, da Prodi a D’Alema, passando per Veltroni, Fassino e Bersani ed arrivando fino a Letta ed allo stesso Vendola, assistiamo ad un reiterarsi di quello che potremmo definire il corteggiamento della “razza padrona”. Che nel caso di Vendola, così come, ad esempio, in quello di Piero Fassino ai tempi della tentata scalata Unipol a Bnl e della sua commovente e commossa affermazione “abbiamo una banca!”, appare finanche goffo.
Ma nella sua goffaggine, questo strusciarsi perpetuo all’industria ed alla finanza che contano, descrive bene il dramma vero della sinistra: l’incapacità di elaborare, con autorevolezza, una propria, indipendente visione sull’economia. Che sia frutto, innanzitutto, di una consapevolezza  dell’opportunità di demarcare la linea di confine tra politica ed economia (Linea, peraltro, che semmai fosse esistita nella sua dimensione labilissima, è stata spazzata via con l’affidamento ad un personaggio come Matteo Colaninno delle politiche economiche del Pd!).
La sinistra, invece, all’autonomia dai poteri forti, preferisce la commistione. Rappresentata anche da cose fatue, peraltro. Che lasciano senza parole ed evidenziano debolezza umana, prima ancora che pochezza politica. Una commistione, si diceva, fatta di viaggi su lussuosi yacht, come dimostra la vicenda di Piero Fassino ospite sulla barca di un noto industriale. Di corse ad essere in prima fila ai convegni di Confindustria. Di aspirazioni a vedersi recapitare l’invito per eventi organizzati da qualche circolo elitario. Di capi chinati, atteggiamenti visibilmente remissivi e toni di voce connotati da una deferenza timorosa, quando si è al cospetto del potente, economicamente parlando, di turno.

Qui insomma non è in discussione il fatto che la politica e dunque anche la sinistra debba necessariamente rapportarsi con l’economia. Per carità. Bensì le modalità con cui ci si relaziona. Che continueranno ad essere improntate alla subalternità psicologica e culturale fino a quando Vendola, Renzi e soci non saranno in grado di elaborare un proprio pensiero forte sul mercato.

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