domenica 12 gennaio 2014

IL CASO RENZI & C. F. COLOMBO, Letta e Renzi, due politici diventati piccoli piccoli, IL FATTO, 12 gennaio 2014

Non so se avete avuto anche voi questa impressione, ma all’improvviso i personaggi della scena politica hanno cominciato a rimpicciolirsi, come negli effetti speciali di un film.



Prendiamone due, Letta e Renzi, per restare vicini alla ossessiva cronaca quotidiana. La cronaca si specializza nel misurarli a confronto: oggi è più grande Renzi o troneggia Letta? Vi sarete accorti che non è il punto. Il punto è che, dai tempi del miracoloso governo che compare all’improvviso sulla scena, dal momento magico in cui i cavaliere bianco Enrico Letta attraversa la scena e viene indicato e, anzi, nominato, “l’unico” senza spiegazioni ma con persuasione assoluta, capace di governare in pace (sia pure con l’espediente traumatico delle “larghe intese”) qualcosa è clamorosamente cambiato. L’uomo alto dai gesti impeccabili e dalla voce gentile e inflessibile appare indeciso, impacciato e molto più piccolo della scena che dava l’impressione di dominare.  
Adesso seguiamo Renzi. Da candidato a tutto che conosce tutto perché è ovviamente capace di fare tutto (sindaco di grande città, segretario del partito di maggioranza, primo ministro, protagonista europeo, modello della vita da giovane) appare alle prese con un groviglio, che riguarda il partito, riguarda il governo, riguarda il parlamento e riguarda il mondo. E di quel groviglio non scioglie nulla. Rimane fermo, benché loquace, in una zona di sosta, fermo per un giro, per due (poi vedremo) come in certi giochi da tavolo.
Vi chiedo di voltarvi indietro a guardarli, Letta e Renzi, giovani e nuovi e pronti, distinti solo dal grado di impazienza. Guardateli in quel loro incontro a Palazzo Chigi, con foto da telefonino e frasi gentili ma ambigue. Non vi sembrano improvvisamente rimpiccioliti rispetto alle immagini che ci avevano offerto al debutto? Potrete dire che i problemi sono diventati, nella lunga attesa di non risolverli, sempre più grandi e questo fa apparire così piccoli coloro che devono agire in una scena che adesso appare gigantesca. Però, se ci pensate, i problemi sono gli stessi del mondo. No, c’è qualcosa di diverso e di nuovo nel personale dirigente di questo Paese. Così come non si può vivere senza speranza, non si può governare senza progetto. È come costruire muri a casaccio, senza uno straccio di disegno del geometra. Questa clamorosa inadeguatezza diventa anche fisica. Voi vedete due leader piccoli su due poltrone troppo grandi scambiarsi complimenti e minacce (nello strano gergo della “larghe intese”) e intanto non hanno assolutamente nulla da proporre o da dire che non sia tenersi a bada a vicenda.
L’evidenza del rimpicciolimento è data da tre fatti: sembrava che contassero molto e contano poco. Sembrava che avrebbero fatto qualcosa invece del vuoto, e ma resta il vuoto. Sembrava che si sarebbero rivolti per prima cosa ai cittadini (che il governo Berlusconi aveva trasformato in audience, il governo Monti in severo campeggio scout, il primo Letta in una corsia da visitare in occasione di feste e ricorrenze). Invece non è avvenuto. Sembrava che avrebbero visto (o ammesso di vedere) il grave stato delle cose, e invece la grande finzione della crisi che sta per finire continua. Al punto che la più grande impresa industriale italiana può cambiare patria e missione, e non solo nessuno fa una piega, ma piovono elogi per il clamoroso trasferimento che, si sa, porta via tutto, e lascia indietro solo i lavoratori.
Volete due piccole prove del nulla che sta accadendo? Una è il Jobs Act di Matteo Renzi, ottima idea di prodotto: prima cosa, trovare il nome. Ma non c’è altro. Come tutti gli accenni precedenti, mai diventati progetti, il lavoro viene visto dal punto di vista del che fare con chi lavora, una volta che abbia ottenuto il famoso posto. Ma niente ci dice come, lungo il percorso economico, quello organizzativo e quello politico, si arriva a quel punto, come si crea il posto di lavoro. L’altra è in questa descrizione (citazione letterale) del “programma Garanzia Giovani” che sembra scritto da Michele Serra in un giorno di astuta e comica cattiveria, e invece è di pugno di Enrico Giovannini, ministro del Lavoro. “Il programma Garanzia Giovani si basa sui numerosi provvedimenti adottati in questi mesi, tra cui l’alternanza scuola-lavoro, gli incentivi alla assunzione, la semplificazione normativa, il finanziamento di tirocini e di fondi per l’autoimprenditorialità, per un investimento che supera il miliardo di euro. Una sorta di prova generale di una svolta che stiamo imprimendo alle politiche ‘attive’ per l’occupazione e il reinserimento, dopo tanti anni di dibattiti nei quali si sono privilegiate le politiche ‘passive’ basate sugli ammortizzatori sociali”. (cito Enrico Giovannini da Il Corriere della Sera, 11 gennaio).
Qualcuno ricorda quali ammortizzatori sociali sono previsti per i giovani che non hanno mai lavorato? Come vedete, la sproporzione tra il paesaggio infestato di impedimenti al futuro e le dimensioni dei leader è paurosa. Due soli personaggi appaiono al momento in proporzioni normali: Pierluigi Bersani, che è riuscito a non morire (e a cui va ovviamente un carico di auguri) e Silvio Berlusconi, che è riuscito a non andare in prigione. Se ne va, libero e pieno di progetti, in giro per l’Italia con donna e cagnolino, mentre da mesi dovrebbe essere in cella, secondo sentenza. Sono due diverse misure, d’accordo, ma, per l’Italia di oggi, è tutto. Per questo stringe il cuore sentire il piccolo Letta che, dalla sua immensa poltrona, dice al piccolo Renzi, chiacchierone, festoso ma anche lui un po’ imbarazzato per la vastità della scena: “Serve un cambio di passo”.

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