sabato 11 gennaio 2014

CINEMA E SOCIETA'. R. ESCOBAR, 'Il capitale umano', Paolo Virzì e il volto di un paese corrotto, L'ESPRESSO, 10 gennaio 2014

Il film è un ritratto crudele di questi nostri anni di volgarità morale e prepotenza finanziaria, dominati da chi ha scommesso sulla rovina del Paese e ha vinto. In ogni caso, pare suggerire il regista, ora la commedia è finita. È finita (forse) la messinscena di una élite finanziaria che non riesce più a nascondere d’essere criminale 



La commedia è finita. Così vien da dire quando si chiude “Il capitale umano” (Italia e Francia, 2013, 109’). Ambientato in Brianza, il film di Paolo Virzì e dei cosceneggiatori Francesco Bruni e Francesco Piccolo riprende il romanzo omonimo dell’americano Stephen Amidon. Al posto del Drew Hagel del libro ora c’è Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio). Agente immobiliare dagli affari malmessi, Dino immagina di risolvere i suoi problemi investendo centinaia di milioni di euro (che non ha) nel fondo azionario del potente e spregiudicato Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni). La figlia Serena (Matilde Gioli) è la ragazza di Massimiliano (Guglielmo Pinelli), suo compagno di liceo e figlio del finanziere. Questo a Dino sembra garanzia sufficiente per l’investimento.
Il centro del film è la villa fastosa dei Bernaschi. Lì, guidando la sua Bmw, un giorno Dino arriva con la figlia. La visita dovrebbe esser breve, ma a Giovanni serve un compagno di tennis. Il racconto si sviluppa così verso un epilogo drammatico, in cui si intrecciano interessi economici, crisi finanziaria ed egoismi vari. Per sovrappiù, una notte un ciclista viene travolto da un Suv. La vicenda di “Il capitale umano” è raccontata, anzi è riraccontata dai punti di vista dei vari personaggi, da Dino a Serena.

Ogni volta, il cambio di prospettiva è segnato dal ritorno alla sequenza della Bmw che arriva nella villa dei Bernaschi. Da qui la sceneggiatura riparte, illuminando la vicenda da un’angolatura nuova e inaspettata. Quel che ne viene è un ritratto spesso crudele di questi nostri anni di volgarità morale e prepotenza finanziaria, dominati da chi ha scommesso sulla rovina del Paese e ha vinto, come al marito Giovanni dice Carla (Valeria Bruni Tedeschi), non si sa se più colpevolmente ingenua o più stupida. In ogni caso, pare suggerire Virzì, ora la commedia è finita. È finita (forse) la messinscena di una élite finanziaria che non riesce più a nascondere d’essere criminale. È finita la corsa verso il suo stesso modello di vita da parte dei vari Dino Ossola. E insieme è finita (per ora) la possibilità di raccontare l’una e l’altra con gli stilemi della commedia, appunto. Difficile non concordare.

P.S. Se così è, perché la sceneggiatura più di una volta si affida a stereotipi che ripetono stancamente, e con volgarità, l’italica commedia di costume? E soprattutto, perché si è indotto il povero Bentivoglio a recitare come un Alberto Sordi redivivo, fuori tempo e inverosimile?

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