lunedì 13 gennaio 2014

IL CASO RENZI & C. M. VILLONE, Il parlamento del capo, IL MANIFESTO, 7 gennaio 2014

enzi acce­lera. Ma per andare dove? L’infelice bat­tuta su Fas­sina è un passo falso del nuovo segre­ta­rio, e un momento di verità sul Pd e sul suo gruppo diri­gente. Che mette subito ai bloc­chi di par­tenza la legge elettorale.



Tre le pro­po­ste: un Mat­ta­rel­lum modi­fi­cato, con il 75% di col­legi uni­no­mi­nali mag­gio­ri­tari, 15% di pre­mio di mag­gio­ranza, 10% di diritto di tri­buna; un sistema simil­spa­gnolo, mag­gio­ri­ta­rio con col­legi pic­coli o pic­co­lis­simi e mini­li­ste bloccate.
E un modello simil­sin­daci, con ele­zione sostan­zial­mente diretta del capo del governo, e con­se­guente tra­sci­na­mento della lista o coa­li­zione col­le­gata al pre­mier vin­cente al 60% (o forse 55%) dei seggi nell’assemblea elettiva.
Biso­gnerà leg­gere i testi per una valu­ta­zione defi­ni­tiva. A prima let­tura, le pro­po­ste — tutte — sono volte a un bipo­la­ri­smo blin­dato e alla rea­liz­za­zione dell’obiettivo di avere dal giorno del voto un vin­ci­tore certo non solo nel voto popo­lare, ma anche — e soprat­tutto — nei numeri par­la­men­tari. L’uomo solo al comando, eletto con la sua mag­gio­ranza per garan­tir­gli di gover­nare per la durata del man­dato. Potremmo anzi­tutto notare che la demo­cra­zia di man­dato ha già per circa un ven­ten­nio dimo­strato di non fun­zio­nare. Ma soprat­tutto oggi col­pi­sce l’attenzione che il sistema non sia più bipo­lare, e che la Corte costi­tu­zio­nale abbia dichia­rato l’illegittimità del Por­cel­lum. Di que­sti — pur deci­sivi — ele­menti di novità le pro­po­ste avan­zate non sem­brano tenere alcun conto.
Per le ele­zioni poli­ti­che M5S sem­bra soli­da­mente atte­stato intorno a un 25%, non scal­fito dai più delu­denti risul­tati di qual­che turno ammi­ni­stra­tivo. Qua­lun­que modello elet­to­rale bipo­lare for­zato su un sistema poli­tico tri­po­lare con ogni pro­ba­bi­lità ten­derà a pena­liz­zare pesan­te­mente il polo più debole. E dun­que primo can­di­dato al sacri­fi­cio sem­bra essere pro­prio il Movi­mento 5 Stelle. il secondo can­di­dato è Ncd di Ange­lino Alfano, pro­ba­bil­mente con­dan­nato a scom­pa­rire se pri­vato da Sil­vio Ber­lu­sconi della coper­tura di coalizione.
La chiave di tutto è nella impo­sta­zione iper­mag­gio­ri­ta­ria. Nel nuovo Mat­ta­rel­lum il pre­mio ipo­tiz­zato — 15% — è già alto. Ma biso­gna aggiun­gere l’effetto in sé fisio­lo­gi­ca­mente mag­gio­ri­ta­rio del sistema. Nelle poli­ti­che 2001, ad esem­pio, per l’uninominale Camera la Casa delle Libertà ebbe 16.915.513 voti (45,57%), e 282 seggi; l’Ulivo 16.019.388 (43,15%) e 183 seggi. Un mar­gine di poco più del 2% dei voti regalò al cen­tro­de­stra un van­tag­gio di quasi cento seggi. In Sici­lia fu cap­potto per il centrodestra.
Per il sistema simil-spagnolo val­gono con­si­de­ra­zioni ana­lo­ghe. Come è stato scritto su que­ste pagine, la legge elet­to­rale è for­te­mente cri­ti­cata in Spa­gna per­ché distorce troppo la rap­pre­sen­tanza. La pic­cola dimen­sione dei col­legi pro­duce il dop­pio risul­tato di avere una soglia impli­cita molto alta, e di favo­rire mar­ca­ta­mente i par­titi mag­giori, con l’eccezione di quelli minori con­cen­trati ter­ri­to­rial­mente. Ad un tempo, una pesante alte­ra­zione della dia­let­tica demo­cra­tica, e una potente spinta cen­tri­fuga verso la fram­men­ta­zione del paese.
E veniamo al sin­daco d’Italia. Vediamo i risul­tati in voti e in seggi — dopo il bal­lot­tag­gio e la vit­to­ria di Luigi De Magi­stris — nelle ele­zioni comu­nali di Napoli del 2011. Pdl 97.752, 8 seggi; Pd 68.018, 4 seggi; Idv 33.320, 15 seggi; Forza Sud Socia­li­sti Libe­rali 21.382, 1 seg­gio; Udc 21.315, 2 seggi; Napoli è Tua (lista del sin­daco) 18.902, 8 Seggi; Sel 16.283, 1 seg­gio; Fede­ra­zione della Sini­stra 14.973, 6 seggi. La distor­sione della rap­pre­sen­tanza è con ogni evi­denza for­tis­sima. Tutto si spiega con il tra­sci­na­mento al 60% dei seggi delle liste col­le­gate al can­di­dato sin­daco vincente.
È dav­vero dif­fi­cile pen­sare che uno dei modelli indi­cati sia coe­rente con il prin­ci­pio di tutela della rap­pre­sen­tanza comun­que posto dalla deci­sione della Corte costi­tu­zio­nale sul Por­cel­lum. Non ser­vi­rebbe allun­gare il passo per pre­ce­dere le moti­va­zioni. Quali che siano, non pos­sono smen­tire il già deciso: e quello basta. Si può magari con­si­gliare alla Corte di non essere strin­gata nell’argomentare, vista la gran voglia di sva­lu­tare la sen­tenza prima ancora che sia depo­si­tata. Ma è comun­que facile pre­ve­dere che solu­zioni incon­grue sareb­bero ripor­tate all’attenzione della Corte. O magari attac­cate già prima del voto con una ini­zia­tiva refe­ren­da­ria da parte di chi si vede messo nell’angolo.
Con­si­de­riamo anche, per tutte le pro­po­ste, l’effetto di ulte­riore fran­tu­ma­zione del sistema poli­tico che si è pro­dotto sia nel mag­gio­ri­ta­rio di col­le­gio che nel pro­por­zio­nale con pre­mio di mag­gio­ranza. Ogni ele­zione ha visto schede grandi come len­zuoli, affol­late di liste civi­che di ogni peso e cara­tura. Dun­que, insi­stere sulle vie fin qui per­corse non può con­so­li­dare poli­tica e isti­tu­zioni. A che serve, al di fuori dell’ipotesi di avere un docile assem­blea, del tutto pri­vata di una effet­tiva fun­zione di rap­pre­sen­tanza, e popo­lata di yes men pronti ad alzare la mano a comando? Dopo il par­tito per­so­nale, vogliamo il governo e il par­la­mento del capo? Non fa nes­suna dif­fe­renza che indossi il dop­pio­petto o il giub­bino di Fonzie.
Soprat­tutto in un tempo di cam­bia­mento e di scelte che toc­cano valori fon­da­men­tali, la vera que­stione è di quanto pro­por­zio­nale abbiamo biso­gno, e in quale forma. In demo­cra­zia, zit­tire le voci dis­so­nanti tra i gover­nati non raf­forza i governanti.

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